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CORPISPAZIATI Per
un'etnografia applicata al design
Prof.
Massimo Canevacci Docente di Antropologia culturale - Università di
Roma "La Sapienza"
Di pomeriggio
si applicava ad approfondire la propria cultura pratica, partecipava ad adunanze
di Drusi e Sciiti e di Cristiani-Comunisti, di Maroniti e di Cattolici e di Ecclesiastici,
passando da un'identità all'altra, e tutte le diverse identità si
mescolavano e gli bastava camminare nel viale al centro di Beyrut, perché
quel viale divenisse, per lui, una pista che attraversava ogni identità
A.B.Yehoshua (1994:218) I parte teorica 1.
Design ed etnografia Gli intrecci tra antropologia e design si possono collocare
sulle prospettive offerte dall'etnografia. L'etnografia, infatti, contiene diverse
metodologie di ricerca empirica applicate su diversi fieldwork: dall'affermazione
degli studi culturali in poi, con tali metodi si intende configurare la disposizione
del soggetto che fa ricerca sui territori (materiali/immateriali) della sperimentazione
così come emergono anche confusamente e in modi non lineari tra gli interstizi
della comunicazione metropolitana, etnica, generazionale, di genere, soggettiva.
Sperimentare i flussi della metropoli comunicazionale - sempre più sincretici,
frammentari e pluri-sensoriali - implica un nuovo posizionamento del soggetto.
Il soggetto posizionato è un soggetto che si disloca in una riflessività
etnografica: ciò vuol dire che si dispone o trasloca nelle sue mutanti
parzialità determinate da un identità che non è più
fissa, compatta, unitaria, stabile (come poteva essere vissuta e oggettivata nella
piena modernità industrialista), bensì molteplice, scorrevole, fluida,
spesso tessuta a patchwork, smossa dai confini incerti che caratterizzano l'appartenenza
a un determinato genere, etnicità, strato sociale, generazione, spazialità,
mobilità: e anche disciplina. Questi confini incerti caratterizzano l'esperienza
metropolitana in between gli spazi che configurano le location. Tale concetto
è utilizzato etnograficamente come caratterizzane fluidità interstiziali
piuttosto che le stabilizzate identità fisse (e fissate) nei luoghi. Un
design che non riproduce il dato ma innova i codici si dovrebbe posizionare sulle
prospettive offerte dall'etnografia. Fare ricerca, quindi, sollecita un costante
posizionamento e riposizionamento del soggetto, nelle sue fluttuanti identità
che possono favorire un corpo (nel senso di bodyscape) percettivo che transita
nelle diverse locations. 2.
Design traslocante Il design è un ideogramma che (più
che oggettualizzare) somatizza un mix di codici che fluttuano nello spazio interstiziale
e che lo sguardo eroptico dell'etnografo fissa sincreticamente. Il design
esprime un habitus, cioè uno stile, una sensibilità, una soggettività
intra-textuale. La sensibilità "solida" delle forme cede o meglio
si innesta nei codici mobili che riconfigurano gli spazi. Il design transloca.
Etnografia e design - nel loro sensibile spostarsi tra gli spazi - sono anche
uno spostare lo spazio. Spostare lo spazio è dislocare la cultura del soggetto
e innovare la comunicazione: configurare un design che trova in aree geo-culturali
diverse l'attrazione verso geofilie ibride, frammentarie, simultanee. Questo contesto
spugnoso interstiziale - non anti: ultra-dualista - oscilla tra luoghi-spazi-zone,
intreccia familiare e straniero, percepisce il visibile-invisibile, sincretizza
l'oltre nell'immanente-emergente. Nelle geofilie della progettazione oggettuale,
il traslocare non appare più come segnato da ansie e angosce, bensì
come un dislocamento dell'ordine domestico (addomesticato) degli oggetti e della
percezione sensoriale che con questa stabilità oggettuale si era abituata
a convivere. L'identità ben temperata ha accompagnato molte generazioni
di individui: il transloco acquisisce nuove prospettive semiotiche, stili comportamentali,
attrattori immaginativi. Il traslocare, infatti, non coinvolge solo mobili
e suppellettili: esso extravolge l'ordine percettivo delle cose e, in tal modo,
favorisce una moltiplicazione della propria identità data. Nel trasloco
si può affermare il desiderio di non ripetere - e di non sentirsi ripetuti
da - l'ordine domestico, l'ordine addomesticato di mobili e pareti, oggettualità
fisse e fissate. Mobili e pareti come "fissazioni" del proprio corpo-oggetto.
Il trasloco può essere percepito oltre l'ordine domestico, la sua stantia
normalità, la sua prevista solidità. Nel traslocare degli oggetti-corpo
si prefigura un traslocare del corpo-soggetto e delle sue identità piene
di menti. Identità traslocanti per oggetti che non fissano più
staticamente il suo inquilino servo-padrone. Muoversi e commuoversi attraverso
flussi dissonanti e sincretici (location e bodyscape) produce un'etnografia del
trasloco per assemblaggi di visori non-familiari, concetti non-addomesticati,
movimenti pluri-identitari. Mix-cult. Anziché anestetizzare il corpo
nell'esperienza domestica del soggetto, tale hybrid-mix del design sollecita un
uso moltiplicativo e non sottrattivo di un corpo esteso nelle sue protesi comunicazionali
e oggettuali: ex-teso - teso al di fuori delle norme stabili. La somatizzazione
semiotica emerge non più come patologia che deforma corpi e cose, ma come
prassi corporea che moltiplica e mobilita corpi-oggetti incarnati in prassi spaziate
(Canevacci, 2004).
3.
Design translucente Le nuove prospettive diasporiche
possono rompere la trappola tra integrazione e emarginazione, a favore della sfida
decentrata di nuovi sincretismi culturali. Vedere le diaspore come produttrici
di innovative esperienze. Diaspore non più legate a forzose migrazioni,
a esili tragici, a deterritorializzazione come sottrazione, bensì per una
nuova soggettività che sperimenta lo scorrere delle proprie pluralità.
La ricerca condotta da Paul Gilroy non vede più la diaspora africana come
un residuo pre-moderno: "La contaminazione liquida del mare comportava sia
la mescolanza che il movimento, modelli di flusso e di viaggio itinerante tipici
della creratività transculturale" (2003:19).L'esperienza del transito,
delle mescolanze impure, dei sincretismi religiosi, spaziali e culturali, delle
ricombinazioni sorprendenti, di stili, codici, modelli insubordinati, si compie
grazie alle diaspore africane che attraccano nelle sponde dell'Atlantico e le
trasformeranno - più che in nero - in una molteplicità di sfumature
cromatiche, identitarie, culturali. Nell'immane dolore delle diaspore, è
possibile vedere l'emergere lancinante e potenzialmente liberatorio della centralità-decentrata
dei viaggi (routes) oltre l'immobilità vincolante delle radici (roots),
su cui una retorica consolatoria continua a spargere banalità di un passato
felice e puro. Dislocare il proprio luogo significa sincretizzare gli spazi. Passare
dalle radici agli itinerari: questa la prospettiva di una etnografia applicata
al design. 4.
Design diasporico In genere, il termine diaspora è abbinato
alla disseminazione del popolo ebraico nel mondo. Pur tuttavia, tale concetto
si è esteso ad altre diaspore, tra cui quella segnata dalla schiavitù,
che le popolazioni africane hanno subito disperdendosi inizialmente nelle grandi
piantagioni periferiche delle tre Americhe, poi nei tanti centri delle città.
Per analogia, nei tempi più recenti si è utilizzato sempre tale
termine per indicare i processi di migrazione dei latinos verso gli Stati Uniti,
ma anche le diaspore palestinesi, maghrebine, asiatiche: e gli spazi latino-americani
continuano a essere scenari di queste drammatiche diaspore verso ovunque si prospettino
più felici possibilità di vita. Diaspora non è esilio:
della prima si mette in risalto la dimensione collettiva dello sradicamento, del
secondo il carattere individuale legato a motivi diversi. Accanto alle tradizionali
mobilità transnazionali, da tempo si affacciano nuovi soggetti diasporici
non più segnati dallo sradicamento violento individuale e neanche dall'alienazione
collettiva della propria patria. Sono nuovi soggetti trans-mediterranei che sovvertono
le regole giuridiche su cui si basano gli stati nazionali, come il concetto di
cittadinanza, per cui gli stati e ancor più le amministrazioni locali hanno
difficoltà a dare soluzione politica a questi flussi. Le nuove identità-diasporiche
esprimono sfide sia all'ordine amministrativo statuale ospite, sia al controllo
delle culture di origine trapiantate nello stesso territorio. Perdita di una iniziale
identità, speranza di avventurarsi nello sconosciuto, di modificare la
propria sensibilità, sentire la fluidità di una pluralità
identitaria che espande la coscienza del proprio sé. La consapevolezza
che la perdita può essere generatrice di speranza. Che attraversare contesti
stranieri non favorisce solo la nostalgia di modelli familiari o religiosi, ma
neanche la forzosa assimilazione al nuovo. Le nuove prospettive diasporiche
possono rompere la trappola tra integrazione (come eliminazione delle differenze
del soggetto diasporico) e emarginazione, a favore della sfida decentrata e dislocante
di nuovi irriducibili sincretismi culturali. Alterare la diaspora dalla sua matrice
caratterizzata come lacerazione violenta dal proprio territorio. Favorire la liberazione
diasporica dal peso dell'origine e sprigionare il senso disseminato di differenziazione.
Vedere le diaspore mediterranee come produttrici di innovative esperienze. Diaspore
non più legate a forzose migrazioni, a esili tragici, a deterritorializzazione
come sottrazione, bensì per una nuova soggettività che sperimenta
lo scorrere delle proprie pluralità. Tale soggetto è eteronomo non
nel senso banale che dipende da una persona diversa da sé, bensì
in quanto altera la legge, segue regole altre. Il sincretismo è eteronomo.
La ricerca condotta da Paul Gilroy sulla diaspora africana non è vista
non più un residuo medioevale legato a una concezione dell'uomo pre-moderna.
Il viaggio delle navi negriere contiene "un sistema vivo micropolitico e
microculturale in movimento", che costituisce una delle più straordinarie
anticipazioni della modernità (Gilroy, 2003:19). Questo atlantico nero
"bagna" non solo le sponde di tutti i paesi che si affacciano su tale
oceano, ma si impregna al loro interno contro il sorgere degli stati-nazione e
della loro sovranità di ferro che impone l'obbligo di identità nazionali
omogenee. "La contaminazione liquida del mare comportava sia la mescolanza
che il movimento", anticipando "modelli di flusso e di viaggio itinerante
tipici delle avventure transnazionali e della creatività transculturale".
L'esperienza del transito, delle mescolanze impure, dei sincretismi religiosi,
spaziali e culturali, delle ricombinazioni sorprendenti, di stili, codici, modelli
insubordinati, si compie grazie alle diaspore africane che attraccano nelle sponde
dell'Atlantico e le trasformeranno - più che in nero - in una molteplicità
di sfumature cromatiche, identitarie, culturali e comunicazionali che anticiperanno
ogni modernità. Nell'immane dolore delle diaspore, Gilroy vede l'emergere
lancinante ma potenzialmente liberatorio e modernista della centralità-decentrata
dei viaggi (routes) contro l'immobilità vincolante delle radici (roots),
su cui la retorica consolatoria e immaginaria continua a spargere banalità
conservative di un passato visto come originario, felice e puro: nelle navi viaggiano
codici, stili, culture, corpi, musiche, danze, espressività che influenzeranno
tanta parte del sentire moderno. Dislocare il proprio luogo significa sincretizzare
gli spazi. Il transito inventa soggettivazione, le routes sono costitutive
della propria auto-costruzione molto più che le roots. Passare dalle radici
agli itinerari: questa la prospettiva di una antropologia applicata alla fluidità
latino-americana. Dall'imitazione coatta all'incamminazione translucente. 5.
Metropoli comunicazionale La differenza tra la metropoli ottocentesca
(quella percorsa da Benjamin) e quelle contemporanee è che queste - anziché
da flaneur - sono attraversate e incrociate costantemente da soggetti diasporici
che non è possibile fermare con la forza né con le leggi. Non solo.
Tali soggettività diasporiche innestano sincretismi comunicazionali inquieti
e inquietanti. Una metropoli che non sappia farsi vivere e modificare dalle diaspore
perturbanti si irrigidisce come città tradizionale. Il soggetto diasporico
non è più connesso con la sua matrice "etnica" (ebrea,
africana, armena ecc.): è un soggetto disconnesso, che sceglie di attraversare
i flussi metropolitani e comunicazionali mettendo in discussione ogni solida configurazione
di ciò che è stato razzializzato, etnicizzato, sessualizzato da
parte della logica classificatoria dell'Occidente. Questo significa che, per
intendere il flusso contemporaneo, si deve osservare come vero soggetto in movimento
la nuova forma della metropoli comunicazionale. Una città-metropoli non
più industrialista, modernista, progettata all'interno di una opposizione
centro-periferia, basata sul radicamento identitario del lavoro diviso in classi
sociali omogenee, o della famiglia divisa in ruoli maschili-femminili stabili,
cui la politica, la dialettica, il partito davano forma, sostanza e conflitti.
Il centro produttivo urbano della fabbrica dava non solo il tasso del valore economico,
ma anche ordine tramite la visibilità materiale del sociale, i legami forti
e compatti come le identità. Da tempo il mix-ibrido di cultura-consumo-comunicazione-tecnologie
ha spazzato via la centralità industrialista della vecchia città
e persino della metropoli benjaminiana che pur aveva "visto" per prima
l'importanza della nascente comunicazione. Per questo la metropoli comunicazionale
- nello stesso tempo tutta materiale e tutta immateriale - si è estesa
lungo vaste aree di conurbamento ben precisate dal termine sprawl, la cui esposizione
transnazionale e trans-territoriale ne determina l'importanza non solo produttiva
quanto anche percettiva, emotiva, valoriale. Insomma lo sprawl comunicazionale
ha sensi plurimi e multi-sequenziali su cui si innesta nuovi tecno-sincretismi
attraverso mutanti panorami urbani e creatività antropofagiche che rimasticano
stili, incrociano vari codici, rigenerano ogni sguardo. Incroci e attraversamenti
"sentono" le svolte dislocanti del sincretismo tecnologico: dislocante
e diasporico, che scorre liquido, interminabile, inafferrabile. Le diaspore gemmano
transculture. II parte empirica
"Il
passaggio interstiziale fra identificazioni fisse apre le possibilità di
un'ibridità culturale che accetta la differenza senza una gerarchia accolta
o imposta" Homi K. Bhabha La ricerca etnografica
sul design - applicata tra panorami del corpo e spazi panoramatici inseriti nelle
fluttuazioni metropolitane - si articola sui seguenti grappoli concettuali: dress-code,
bodyscape, location, attrattori, interstizi, spiragli, pragmatiche, body-corpse,
spiragli, corpographie, eroptica, packahing, somatizzazioni. Essi saranno affrontati
nelle loro singole frammentazioni e nei successivi possibili assemblaggi. a)
dress-code Nel linguaggio della moda, si distingue clothing da dress: -
clothing si riferisce ai vestiti e accessori, gioielli, make-up, tatuaggi, piercing
singolarmente presi; - dress coinvolge e muove quelle pratiche che ne caratterizzano
scelta, incorporazione, combinazione, assemblaggio, cut-up, morphing e, infine,
la selezione verso il contesto; - code , inoltre, è un codice che indica
le scelte della trasformazione, le logiche sotto e sovrastanti l'attività
semiotica che il corpo acquisisce sulla base di scelte spontanee/costruite da
parte del soggetto. Per cui, nel mettere insieme dress-code si sottolinea
una pragmatica del corpo che si modifica, si costruisce, si risignifica attraverso
continue e oscillanti scelte da parte di un soggetto mutante e molteplice, nella
sua relazione costitutiva e mutevole con il contesto all'interno del quale esporre
tale pragmatica comunicazionale. Dress-code apre verso le polifonie auto-rappresentative
del soggetto che sfida ogni identità fissa, compatta, unitaria, gioca con
ironia/parodia con gli stili (etnico, dark, punk, fetish, folk, cosmopolita, ecc.),
ibridizza il corpo come opus che assembla pelle, oggettistica, cosmetica, sensoralia;
dialoga, evoca cita, indossa, crea lo spazio entro il quale si muove. Nel dress
code ogni tratto non ha un significato codificato dall'uso (moda), tanto meno
inconscio. I simboli sono imbrogliati e "giocati", gli archetipi derisi
e dissolti. Dress-code stabilisce relazioni di sintonia, dissonanza, agglutinazione
con "il locale" verso cui si dirige e da cui è attratto, per
superare quella linea fatale e fatata dell'ingresso: vera zona liminoide che,
una volta varcata, innesta il momentaneo scorrere del suo desiderio. Dress
code come location. Una selezione desiderante di uno spazio del corpo per
un corpo spaziato. La location è una cosmesi dello spazio-corpo fondata
su attrattori elaborati e inscenati di volta in volta. La costruzione di un panorama
corporeo che è significativo per determinate scene e relazioni con l'altro
(i tanti altri sia interni: my-selves come grappoli dei propri sé: che
esterni). Dress code è in between la location e bodyscape (l'altro).
Dress code ti incarna come soggetto in quel momento, in quel posto, con quelle
persone: dress code come cosmogonia. dress code è la chiave d'accesso:
è la password che unisce o favorisce lo scambio (il crossing) tra location
e bodyscape. b) attrattori Attrattori sono codici visuali
ad alto valore fetish che assorbono attenzione nei loro movimenti inter e intra-spaziali.
Accentrare sguardi è aspirazione immanente di ogni attrattore: penetrare
e farsi penetrare dall'occhio e dalla sua molle vischiosità erotica. L'attrattore
è eroptico. Gli attrattori comunicano - seducono - l'emergente. Gli
attrattori sono policentrici e polimorfi, sincretici e fetish. Gli attrattori
inscenano enigmi silenziati: sono rebus somatizzati da esporre in un particolare
ambiente per uno specifico pubblico. L'attrattore ha (è) una fisicità
semiotica: esso è determinante per il morphing cui si sotto- e sovrappone
il soggetto. I tessuti intertextuali somatizzati come attrattori sono interzone
(corporali e spaziali: corpi spaziati) costitutive del dress-code. L'attrattore
si coagula su uno o più punti distesi nei panorami corporali e spaziali,
e - ancora di più - nella relazione eroptica tra loro e con lo sguardo
mobile del soggetto metropolitano-comunicazionale: il cui flusso-di-sguardi tenderà
a ruotare la sua traiettoria visuale intorno a tale punto. L'attrattore è
quindi un spazio-di-fase (o spazio-di-transito) che esercita un appeal eroptico
verso corpi pieni-di-occhi attirandoli a sé. Il design etnografico
si distende nella ricerca empirica e inventiva di sempre nuovi attrattori: ovvero
indicatori comunicazionali ad alto contenuto eroptico. È quindi molto
riduttivo vedere nel dress code solo la password corretta per entrare nel posto
giusto, per poter sentire o - direi proprio - subire l'eccesso esaltante della
selezione che attraversa il proprio corpo assemblato per varcare (ed essere varcato
da) la soglia. Se un locale "ordina" un tipo di dress code come chiave
d'accesso ed elenca lo stile giusto cui sottoporsi, sta inesorabilmente regredendo
su un'etica da caserma o collegio seminarista. Banale riproduzione peggiorativa
di imposizioni coatte di identità uniformate. Locali da sballare, appunto.
Neanche locali: balere per l'abito buono camuffate da tendenze alternative o alterne. La
tesi sostenuta in questo saggio è la seguente: il c.d. "buttafuori"
non è il soggetto interpretante che traghetta clienti dagli incerti abbigliamenti
dal fuori al dentro. Nonostante l'addestramento del locale, questi non ha una
capacità semiotica e in ogni caso ha un ruolo indifferente rispetto al
dress code. Qui, infatti, si sostiene ben altro: che si mettono in moto - spontaneamente
e attraverso complessi processi di mimesi - pragmatiche estetiche e fisicità
semiotiche che smuovono reciproche attrazioni, desiderate affinità, compulsive
ripugnanze auto-selettive tra corpo del soggetto e corpo dello spazio. Un
locale col buttafuori che seleziona codici appariscenti è out. Non casualmente
le zone più irregolari e sperimentali dicono: no dress-code, con ciò
significando che non può esistere una selezione unitaria sulla base di
una cifra che omogeneizza e rende isomorfi i codici. Ma che al contrario si sollecita
l'esplosione a grappolo di metamorfici codes basati su dissonanze stupefatte piuttosto
che su simmetrie confortanti. c) bodyscape Bodyscape
è il corpo panoramatico che fluttua tra gli interstizi della metropoli
comunicazionale. Il suffisso -scape persegue accelerazioni di codici prima invisibili
che un corpo inserisce per assemblaggi successivi lungo la propria configurazione
per costruire una determinata fisiognomica. Quindi, il corpo di un soggetto che
si avviluppa in dress-code - a differenza del cliente - è sospinto per
forza immanente a elaborare nuovi sistemi percettivi, nuove sensoralia, esplorando
le zone-morte tra quello che è noto o comunque già visto e quello
che sta emergendo. Il soggetto-dress-code strappa le zone-morte in quanto feticci
e li trasfigura in zone liminoidi dalla potente forza attrattiva cosmetica, cioè
erotica. Eroptica. Quelli che ho chiamato interstizi sono gli attraversamenti
metropolitani che, nel suo compiersi, mutano i sistemi percettivi del soggetto
che accoglie e rielabora i codici incontrati o scontrati per somatizzarli. Tali
interstizi - che sono flebili, cavi, a tempo - hanno la specialità di collocarsi
sempre "tra", cioè entro quelle zone lasciate vuote o abbandonate
dalle costituzioni mainstream dei luoghi urbani. Filo sottile e lascivo che si
contorce e flette per essere sempre un fuorispazio dissonante: questo è
l'interstizio.
d) Interstizio Interstizio è
parte dell'esperienza metropolitana, ne è elemento significativo per quei
soggetti che - anziché uniformarsi ai luoghi - creano spazi attraverso
il loro trans-correre con un corpo panoramatico che ha somatizzato codici ancora
incerti e invisibili ma che possono produrre senso. Non certo un senso collettivo,
poiché questo è finito (si spera per sempre) con la fine della città
industriale, della piena modernità, della politica generalista: bensì
un senso, un sentire che continua a esprimere l'irriducibile antagonismo del frammento
verso ogni resurrezione o nostalgia collettiva a carattere totalizzante. L'interstizio
muove la città verso la metropoli comunicazionale. È tra queste
zone di margine - che non per questo stanno nella cosiddetta periferia, anzi,
la nuova metropoli ripensa in modo radicale il tradizionale nesso centro-periferia
- che sorgono, mutano, scompaiono, rinascono le location delle culture: e il soggetto
che ha somatizzato il dress-code attira ed è attirato da tali mutanti location.
e) Location Location è, quindi, uno interstizio
metropolitano che caratterizza il transurbanismo contemporaneo, i cui codici più
che esterni (che in genere sono anonimi o generici) sono significativi all'interno:
è qui che il design di ogni oggetto, la configurazione di ogni stanza,
sala, corridoio, toilette, nicchia, il gioco delle luci-ombre, il sound-design
accentua al massimo la percezione di un dress-code incorporato. Il gioco dei dress-codes
somatizzati ed esposti dalla location produce attrattori: ovvero tensioni comunicazionali
e sensoriali che muovono soggetti che aspirano o hanno in qualche modo già
anticipato una propria affine traccia di corpo panoramizzato. Bodyscape come traccia:
nell'ambiguo significato di una variazione-successione di musiche e di impronte
disseminate lungo sentieri non ancora esplorati. Sia bodyscape che location
esprimono attrattori sessuati in un gioco performativo con continue citazioni,
scambi, inversioni, perversioni, multiversioni, subversioni. Entrambi sono come
due entità dalle identità fluidissime e mutoidi che non hanno genere
(maschile-femminile), luogo (pubblico-privato), ontologie (organico-inorganico),
morale (bene-male), dicotomie (natura-cultura), gerarchie (alto-basso): bensì
scorrono sui territori dell'oltre. La forza di tali attrattori non è oppositiva
(per es. al potere) bensì oltre-passativa. Ultra-passante. Se il trucco,
la maschera, la cosmetica rappresentano una sfida alla durezza supposta come "naturale"
del corpo mono-identitario (permessi solo per feste particolari), ora essi si
mescolano nella quotidianità incessante con il design e persino con il
packaging. Per diventare panoramatico, un corpo si traveste di design e si fa
packaging, così come - per diventare localizzato - un interstizio si incarna
di eccessi zoomorfi. Zoomorfismo architettonico di interni e packaging corporeo
di esterni. Questi attrattori non tendono a fare del due l'uno (come la banale
favola dell'amore continua a raccontarci), bensì della differenza - irriducibile
a ogni sintesi - il molteplice frammentizzato. Su tale differenza scivolante si
gioca il dress-code. f) Spiraglio Spiraglio è
la frattura: l'orifizio frastagliato, la cavità oscena, la convessità
arrogante, sezione trasparente, angolazione opaca, slacciamento di legami. Spiragli
offrono a sguardi slacciati ciò che ancora era invisibile in quanto sospirato
per eccesso. Tra corpi e interstizi si aprono spiragli desideranti di corpographie.
g)
Pragmatica La pragmatica consiste nel gioco che la cosmesi esercita in entrambi
i poli dei corpispaziati per liberare intrecci possibili tra bodyscape e location.
Il soggetto o direi meglio il multi-viduo che indossa
si fa indossare
da dress-code si muove: il suo movimento è una pragmatica semiotica il
cui senso è dato da questo attraversamento e non dalla stanzialità
cosmetica. Anziché sedentaria, la cosmetica multi-viduale è diasporica,
cioè disseminativa di insinuazioni.
h) Body-corpse
Hans Bellmer introduce nel suo libro "l'anatomia dell'immagine" sguardi-organismi
attratti verso nuovi significati e verso configurazioni di nuove anatonie attraverso
la sua prospettiva inter-externa di l'inconscio fisico., con cui esce fuori dalla
trappola monismo-dualismo. Il suo criticare ogni modello dualistico non lo porta
sulla sponda simmetrica del monismo. Egli va oltre e non contro. E andare oltre
significa non confliggere col dualismo corpo-mente riducendolo all'Uno, bensì
comporre disordinazioni anatomiche su cui figurare molteplicità di attrattori
corporali. Sotto lo sguardo del suo inconscio fisico si illumina un anfiteatro
grafico che configura l'occhio come come organo-voyer e come oggetto-feticcio
che si svolge (che si palpebra) tra le pieghe di un corpo anatomico. Un corpo
che è nello stesso tempo body e corpse. Body-corpse. E il trattino così
delicato e sottile che congiunge attesta frenesie di transiti tra questi due stati,
visti non più in successione o in opposizione: prima si è vivi e
poi morti : prima body palpitante e poi rigido corpse. Organico e inorganico hanno
nel trattino una sensorialità che coagula nell'occhio un dio-oggetto che
soggettivizza cose e merci, sottraendo loro l'istanza del cadavere, somatizzando
l'anatomia (e non neutralizzando, come in Perniola) in carne, nervi, pelli, ossa,
peli, secrezioni. Lacrime spermate. Body-corpse è invenzione linguistica
che transita in arte figurale, tessuto che gonfia e rilassa la potenza di disegni
anatomici scuoiati dall'occhio. L'occhio si fa muscolo e rasoio. L'occhio libera
immaginazioni in quanto muscolarizza percezioni e visioni. Occhio-muscolo che
piega e affila la normale disposizione degli organi. Gli organi proliferano.
Body-corpse è corpo con organi moltiplicanti, corpo pieno di menti, un
mind-full body che muove sensorialità percettive, cognitive, estetiche:
e quindi etnografiche. I corpi di Hans Bellmer sono sincretici, feticisti, polifonici.
Corpi pieni di occhi fisicamente inconsci. Voyerismo e feticismo in Bellmer
non sono restringibili dentro le gabbie normative di perversioni o psicopatologie.
Egli esplora gli inquieti territori anatomici delle patofilie. "Costruirò
una ragazza artificiale dalle possibilità anatomiche capaci di rifisiologizzare
le vertigini della passione fino a inventare desideri" (Bellmer, 80): Die
Puppe. Le cui anatomie scompongono ogni banale realismo grazie all'inconscio
fisico che mescola body-corpse,evocando l'esaltazione delle giunture, il loro
strapparsi e riassemblarsi secondo modularità liberate. Post-perverse.
Filosofia, fisiologia, psicoanalisi, antropologia, arte e persino teologia non
riescono a rimanere confinate in se stesse. Qui si intacca la dannazione della
sublimazione freudiana, il suo disagio della civiltà che "vede"
il perturbante e subito dopo lo normatizza. Bellmer esplora la "settima
faccia del dado". Nessun giocatore può rimanere tranquillo nelle sue
giunture. I dadi hanno facce pluri-agonali: come i corpi e come gli occhi. La
sua visionaria produzione dell'oltre attacca il tradizionale androgino platonico,
il cui mito ha così a lungo egemonizzato la dichiarazione d'amore in un
modo conservativo e unificato. Il mito regressivo di Platone, infatti, continua
a invaghire il due a farsi Uno. A ristabilire il potere originario dell'Uno. La
Bambole di Bellmer dissolvono ogni dominio del simbolo che cerca costantemente,
disperatamente e autoritariamente di ricondurre all'ordine unificato e compatto
dell'Uno Archetipico. Contro la totalità dell'Uno platonico, la sua eroptica
snoda le giunture tradizionali, il nesso etno-geometrico di bello&buono e,
anziché ristabilire la normativa mono-gamica del fare di-due-uno, Bellmer
libera dal due il multiplo, il fluido, l'ibrido. Un'etnografia
del bodyscape sottolinea pragmatiche del corpo in corso, in corso-di-corpo, che
si risignifica attraverso continue, oscillanti scelte di un soggetto in mutante
pragmatica comunicazionale. Bodyscape apre verso le polifonie auto-rappresentative
del soggetto che sfida ogni identità fissa, compatta, unitaria, gioca con
ironia/parodia con gli stili (etnico, dark, punk, fetish, folk, cosmopolita, ecc.),
ibridizza il corpo come opus che assembla pelle, oggettistica, cosmetica, sensoralia;
dialoga, evoca cita, indossa, crea lo spazio entro il quale si muove. Nei suoi
interstizi ogni tratto non ha un significato codificato dall'uso (moda), tanto
meno dall'inconscio. I simboli sono imbrogliati e "giocati", gli archetipi
derisi e dissolti. Bodyscape stabilisce relazioni di sintonia, dissonanza,
agglutinazione con "il locale" verso cui si dirige e da cui è
attratto, per superare quella linea fatale e fatata dell'ingresso. Bodyscape come
location. Una selezione desiderante per un corpo spaziato. Una cosmesi dello spazio-corpo
fondata su attrattori inscenati di volta in volta. Tra
dress code, location e bodyscape vi è una polifonia di narrazioni, un sincretismo
di citazioni, un feticismo translucente di body-corpse Il
dress code ti incarna come soggetto in quel momento, in quel posto, con quelle
persone: dress code come cosmogonia temporanea e fluida. Cosmogonia cosmetica
che indossa - incorpora e somatizza - codici. Codici danzanti. Incroci, innesti,
citazioni, dialoghi, montaggi. Corpo come clip. Codici che vibrano. Dress code
suona più che parla. Dress code come tecnologia dell'incorporamento parassitico:
come codice di trans-gresso: tra abito-corpo, oggettistica e location. Bar-code.
L'oggettistica è corpse. Cadavere che torna body per una zonatempo. Trasfigurazione
fetish di body-corpse. I locali fetish hanno anticipato il dress code come
bodyscape : relazione subversa tra architetture di interni e somatizzazioni in
esterni. Si afferma una pragmatica dell'architettura che è vissuta e agita
solo in quanto mossa e riempita da un determinato stile-di-corpi. Gli altri rimangono
fuori non perché impediti, bensì in quanto non sentono il touch-of-evil.
Il nuovo fetish visuale è una location. "Architecture
must articulate the relationship between body and landscape. It must ground us.
Morphosis: translucency is a quality of the floating world. Floating world comes
alive at night, in secret courtyards and in rooms that open up beyond shoji screens.
It is concentrated in certain quarters but permeates the city with a sensual reality"
A.Betsky - E. Adigard
Bibliografia
Bahbah,
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